Un 49.3 di troppo

Il governo di Élisabeth Borne ha forzato la mano sulla riforma delle pensioni, osteggiata dalla maggioranza dei francesi. Ora il braccio destro di Macron rischia la sfiducia, mentre le città sono messe alla prova da scioperi e manifestazioni

«Sulle pensioni, il 49.3 di troppo». Così titola l’editoriale di Le Monde sulle proteste in corso in Francia, scoppiate dopo la decisione del governo di approvare la riforma del sistema pensionistico senza passare dal voto dell’Assemblea nazionale. Lo scorso 16 marzo, la prima ministra Élisabeth Borne (fedelissima del presidente Emmanuel Macron) aveva scelto questa strada vista l’impossibilità di raggiungere un accordo definitivo in Parlamento per alzare l’età minima per la pensione da 62 a 64 anni. Secondo il quotidiano francese, una simile forzatura non sarebbe stata appropriata per una legge così ampiamente contestata dalla popolazione. Di fatto, da giovedì le città francesi sono prese d’assalto da migliaia di manifestanti che quotidianamente scendono in piazza per dimostrare la loro contrarietà alla riforma. E oltre ai disordini, il governo deve prepararsi ad affrontare la votazione di due mozioni di censura che potrebbero obbligarlo a dimettersi.

Giovedì 16 marzo, ore 15:10. Dopo giorni di trattative serrate, la prima ministra Borne sale in tribuna davanti all’Assemblea nazionale per comunicare la decisione di invocare il terzo comma dell’articolo 49 della Costituzione. Non avendo raggiunto un accordo con i Repubblicani (centro-destra), che pure avevano votato la legge in Senato, l’unica strada per approvare la riforma del sistema pensionistico è forzare la mano, evitando la votazione. È lo stesso Macron ad aver incoraggiato questa scelta, preoccupato dalle conseguenze negative che un’eventuale bocciatura potrebbe comportare per le casse dello Stato. Prima che Borne possa prendere la parola, però, i deputati di sinistra la interrompono intonando la Marsigliese, mentre sollevano dei cartelli che dicono “64 anni, è no!”. Anche a destra i parlamentari protestano, sbattendo i pugni sui banchi.

Secondo le norme francesi, l’approvazione di una legge mediante articolo 49.3 può essere interrotta solo presentando una mozione di censura entro le 48 ore successive. Se questa raggiunge la maggioranza assoluta dei voti in Assemblea, la legge decade e il governo è obbligato a dimettersi. Dopo le comunicazioni della prima ministra, i deputati hanno depositato due mozioni di censura: una a prima firma Marine Le Pen, leader del Rassemblement National; l’altra presentata dal gruppo LIOT (Libertà, Indipendenti, Oltremare e Territori) e sostenuta dai deputati di sinistra. Entrambe le mozioni saranno discusse lunedì pomeriggio e le opposizioni di destra e sinistra hanno promesso di fare fronte comune contro il governo. Decisivi saranno i voti dei Repubblicani: il loro leader Éric Ciotti ha annunciato che non voteranno alcuna mozione di censura, ma le divisioni interne potrebbero giocare contro il governo di Borne. Qualora l’esecutivo venisse sfiduciato, Macron ha già annunciato l’intenzione di sciogliere l’Assemblea nazionale e convocare nuove elezioni. Fino a oggi, solo una mozione di censura è stata approvata portando alla caduta del governo, nel 1962. Anche l’allora presidente De Gaulle aveva deciso di indire nuove elezioni, che lo premiarono restituendogli una maggioranza più ampia in Assemblea.

Nell’attesa che le due mozioni vengano discusse, in questi giorni strade e piazze delle città francesi si sono riempite di cittadini contrari alla riforma. Giovedì la concentrazione è partita da place de la Concorde, dove in migliaia si sono riuniti pacificamente per protestare contro il governo. Quando la polizia è intervenuta per sgomberare la piazza, utilizzando anche gli idranti, i manifestanti hanno invaso le strade della capitale. Alcuni gruppi violenti hanno devastato il quartiere Saint-Honoré, dando fuoco alle automobili e alla spazzatura accumulata nelle strade a causa dello sciopero dei netturbini. Scene simili si sono ripetute nei giorni successivi anche in altre città della Francia e per il prossimo 23 marzo è attesa una grande mobilitazione a livello nazionale. Nel frattempo, i sindacati hanno proclamato un’ondata di scioperi ancora più intensa di quella in corso fin dall’annuncio della riforma. Tuttavia, secondo gli analisti, la principale preoccupazione di Macron non sarebbero né le mozioni di censura né le rivolte dei sindacati, bensì la crisi di legittimità che sta affrontando la sua leadership. Oltre a non poter contare su una maggioranza stabile in Assemblea, con la riforma delle pensioni il presidente si sta mettendo contro alla maggioranza della popolazione francese, che meno di un anno fa lo aveva confermato alla guida del Paese. Se questa rottura dovesse essere definitiva, i fatti finirebbero per dar ragione alle opposizioni, che hanno definito l’imposizione del 49.3 come «l’inizio della fine di Macron».

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